Il 21 giugno è il giorno del solstizio d’estate, il giorno più lungo dell’anno, quello con più luce.
Da sempre è stato sentito come un giorno speciale, da dedicare a riti religiosi pagani, sia nei tempi precristiani, sia nei postcristiani: pochi lo sanno, ma nei decenni scorsi molti “cavalieri fra le rovine” di evoliana educazione andavano a fare riti strani in questa notte (a Roma addirittura si entrava di “straforo” nei fori imperiali, tanto per usare un gioco di parole) e forse qualche irriducibile c’è ancora da qualche parte. Ne ho conosciuti di questi “pagani” d’accatto. Mi ricordo che qualche volta che parlavo con loro, mentre vomitavano ironie contro Cristo, mi divertivo sempre a porre loro questa domanda: “senti, se ti faccio una domanda, mi rispondi sinceramente?” “Sì, certo”. “Parola di pagano?” “parola”. “Parola di cavaliere fra le rovine”, di “cavalcatore di tigre”? “Parola, certo”. “Bene, e allora dimmi: se domani diventi cieco… insceni un fescennino a Giove Capitolino, fai un bel rito sacrificale a Odino oppure ti scaraventi a quattro di bastone sotto il crocifisso?”.