Il posto della grazia e del soprannaturale nel travaglio della teologia cattolica più recente
C’è un pericolo incombente sopra qualsiasi teologia contemporanea, e specialmente sopra quella cristiana e cattolica; un pericolo difficile da combattere perché viene sovente presentato non come tale, ma come un giusto e doveroso adeguamento allo “spirito dei tempi”, vale a dire della modernità: una tendenza sempre più marcata e sempre più diffusa verso una concezione naturalistica del mondo e, implicitamente, della religione stessa.
In altre parole: non si adora più il Creatore, ma le creature; non si ripone più ogni fiducia nella Provvidenza, ma nella ragione umana; non ci si attende il riscatto dalla grazia, ma dall’azione dell’uomo; non ci affida più allo Spirito, ma alla tecnica; non ci si riconosce peccatori e bisognosi di redenzione, perché ci si vuol redimere da sé: e, del resto, che cose ci sarà mai da redimere, se l’uomo è una creatura così autosufficiente, da non aver bisogno di Dio, anzi, se è vero che l’uomo diventa adulto – come dicono, appunto, alcuni teologi, specialmente protestanti, del XX secolo – nel momento in cui sa vivere come se Dio non ci fosse?