ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 15 dicembre 2017

Hanno altro da fare..

INSEGNARE LA SANTITA'


 Perché la Chiesa non esorta più a essere santi? è troppo impegnata nell’inclusione dei diversi? Una chiesa che non parla più della santità è una chiesa che non crede più in se stessa, perché la vera Chiesa è la Chiesa dei Santi 
di Francesco Lamendola   



Nella vita dei Santi, sfogliando i loro diari, raccogliendo le testimonianze delle persone che li hanno conosciuti fin da bambini, ci s’imbatte frequentemente in un fermo proponimento, in un impegno di vita, semplice, chiaro, commovente: Voglio farmi santo!Con la loro calligrafia infantile, questi piccoli eroi, maschi e femmine, hanno scritto su un quaderno a righe, o a quadretti: Voglio farmi santo!, e poi hanno preso sul serio la loro promessa e hanno seguito, con semplicità e con fermezza, la strada che si erano tracciati da se stessi. Ispirazione dello Spirito Santo, senza dubbio; ma chi ha gettato il primo seme di quella grande, nobile idea, nella mente e nel cuore di un fanciullo o di una fanciulla di sei anni, di otto anni, di dieci anni? Qualche adulto, senza dubbio; qualche esempio, qualche parola, qualche gesto da parte della figura di un educatore. Il più delle volte era un membro del clero: era il prete del paese, o una suora del catechismo, o un predicatore venuto per il ciclo pasquale, o un missionario di ritorno dall’Africa, o magari era un libro di devozione regalato dal parroco, o dai genitori stessi: perché, fino a qualche anno fa, i genitori regalavano anche qualche libro ai loro bambini, qualche buon libro sulla fede e sulle vite dei Santi, e non solamente telefonini, videogames o computer.

Poi è arrivata la modernità; sono arrivati l’edonismo e il consumismo; è arrivata la psicanalisi; è arrivata la cultura delle rivendicazioni, dei diritti, della contestazione, della trasgressione, dello sballo, del tutto e subito, cioè del nulla: e il proponimento della santità è passato di moda. Ma quello che più colpisce e rattrista, è che tale modello è passato di moda non solo nella società profana, il che era prevedibile, ma anche nella Chiesa stessa. Il clero, oggi, ha ben altro da fare che predicare la santità ed esortare alla santità: è impegnato nell’inclusione dei diversi, dei finti profughi, degli omosessuali, dei transessuali, degli adulteri, delle madri che hanno abortito, degli zingari che non hanno voglia di lavorare, e perfino dei preti indegni che danno pubblicamente scandalo, ma che, poverini, vanno capiti e aiutati, nessuno li deve giudicare, in fondo erano anche bravi in chiesa, se poi facevano le porcate nella vita privata saranno affari loro, sì o no? Di fatto, è rarissimo sentire un cardinale o un vescovo che parla della santità; è rarissimo leggere un giornale cattolico in cui si esorti alla santità; ed è ancora più raro trovare un sacerdote che faccia della santità il soggetto della sua omelia domenicale, o anche semplicemente un catechista che faccia della santità un argomento degno di essere trattato nelle sue lezioni, almeno una volta l’anno. E il papa, almeno lui, ci parla della santità, ossia dello sforzo dell’anima di farsi tutt’uno con la volontà di Dio, rinunciando ai desideri dell’io e calpestando gl’impulsi e gl’istinti di ordine inferiore, che trovano facile esca nella umana concupiscenza? Niente affatto; anzi, è lui il primo a dire: chi sono io per giudicare?; e nella esortazione apostolica Amoris laetitia, arriva a scrivere, testualmente, che Dio non si aspetta dal peccatore che ha lasciato sua moglie o suo marito, per andare a vivere con un altro uomo o con un’altra donna, se non che rimanga nel suo peccato, e glielo offra, però “generosamente”, e “con sincerità è onestà”, dato che è tutto quanto il poverino si sente di fare, al momento, pur non essendo ancora, “obiettivamente”, un modo di vivere del tutto conforme alla “proposta generale del Vangelo”. A parte il fatto che il Vangelo non fa “proposte”, perché le proposte le fanno i partiti, le banche e i commercianti, mentre Dio, il Dio dei cristiani, che è Gesù Cristo, chiama tutti gli uomini a seguirlo e ad essere perfetti, come è perfetto il Padre celeste (cfr. Mt., 5, 48): a parte ciò, ci si chiede se sia questo il linguaggio che deve tenere il santo padre, se sia questa la maniera adatta di parlare delle cose di Dio.
Si prenda il caso di una santa di cui si parla poco, Bartolomea Capitanio (Lovere, Bergamo, 13 gennaio 1807-26 luglio 1833), fondatrice delle Suore della Carità, una vita breve e tutta spesa nel nascondimento e nell’amore per il prossimo, particolarmente nell’educazione delle bambine povere; ecco cosa scriveva, adolescente, in un quaderno (da: S. Bartolomea Capitanio, s. a., Milano, 1950):

Nell’anno 1823 ho fatto voto di obbedire al Confessore e alle Maestre, e questo per un tempo determinato. Entrata poi nel mondo [era stata educata presso le clarisse], invece di obbedire alle Maestre ho fatto voto d’obbedire ai miei genitori…
…”Propongo e voglio diportarmi in casa, in quella maniera che si diporterebbe una Santa se si trovasse nelle mie condizioni; quindi avrò verso i miei genitori quel rispetto che richiede il grado loro di luogotenenti di Dio; li obbedirò, li amerò e li aiuterò nei loro bisogni il meglio che potrò, né mi curerò perciò d’essere con preferenza amata. Procurerò di non far loro conoscere le mie inclinazioni, affinché mi comandino con libertà; non cercherò mai d’ingerirmi negli affari di famiglia se non vengo astretta dall’obbedienza. […]
Nell’obbedire al mio Confessore intenderò di obbedire al mio dolcissimo Sposo Gesù [aveva fatto voto di verginità]; nell’obbedire a mio padre, intenderò di obbedire al mio Angelo Custode; a mia madre, a Maria Santissima; a mia sorella, all’avvocato mio S. Luigi; e agli altri, qualunque essi siano, a tutti i Santi del Paradiso. […]
Non mi lamenterò mai di alcuna cosa, non m’inquieterò mai per qualsivoglia occasione, non alzerò mai la voce, non mi farò conoscere di malumore o malinconica, ma sarò sempre di temperamento uguale. Mi occuperò dei miei doveri, li eseguirò con esattezza e ilarità di volto; volentieri mi eserciterò nei servigi domestici più abbietti, e schiverò sempre di farmi servire dagli altri: sarò compiacente in tutte quelle cose in cui non vi sarà pericolo di offendere Dio. Preferirò sempre i doveri di casa alle pratiche di devozione per tener pace in famiglia.

E adesso si confronti idealmente questa pagina di diario con le pagine di diario della stragrande maggioranza delle ragazze e dei ragazzi d’oggi; e, soprattutto, si confronti la vita della Capitanio – perché ella seppe mettere coerentemente in pratica tutti i suoi giovanili proponimenti – con la vita di tantissimi giovani d‘oggi, certamente la maggioranza. Si resta semplicemente scioccati dalla maturità, dalla fermezza, dall’eroismo, dall’ardore di carità che hanno animato una adolescente, capace di scrivere tali cose e, poi, di attuarle nella sua vita; e non si finisce di restare storditi dalle profondità abissali del mistero per cui Dio chiama a sé le anime, e dal modo in cui alcune di esse sanno rispondere. Perché Dio chiama a sé, con pari amore, tutte le anime: sta ad esse, poi, rispondere o meno alla chiamata, e rispondervi con diversi gradi di serietà, d’impegno, di abnegazione. Bartolomea Capitanio ha scelto la via del “tutto o niente”: il suo “sì” alla chiamata non è stato timido ed esitante, ma, al contrario, un “sì” convinto, deciso, decisissimo: un fuoco di amore e di dedizione totale. Ella ha deciso, nell’età in cui massima è la spinta delle tendenze narcisiste, quella dell’adolescenza, di annullarsi completamente per farsi tutt’uno con la volontà di Dio, nelle persone concrete dei suoi genitori e dei suoi superiori: ma non con fatica, non con rimpianto, bensì con la ferma promessa di sorridere sempre, di essere lieta e accondiscendente, di non lamentarsi mai di nulla, di non protestare mai, e di non cercare nei genitori la riconoscenza per la sua dedizione, ma di esser sempre obbediente e amorevole, indipendentemente dal “premio” affettivo che avrebbe potuto ricevere. Addirittura, ella si ripromette di non lasciar trasparire le sue personali inclinazioni, affinché i genitori si sentano liberi d’indirizzarla secondo i loro desideri: si potrebbe immaginare uno stile di vita e un modello di adolescenza più lontano, più diametralmente opposto a quello che, oggi, va per la maggiore? E quanti sedicenti educatori, psicologi, sociologi, non sarebbero pronti ad affermare che non è giusto, in un giovane, un sacrificio di se stesso così grande; che il bambino, l’adolescente, hanno tutto il diritto di trovare la loro strada, di affermare i loro bisogni, di vivere la loro vita; e che ai genitori tocca sostanzialmente il compito di lasciar fare ai loro figli quel che essi vogliono, che sia giusto e, sovente, che non sia giusto, né buono, e nemmeno naturale. Oggi ci sono dei genitori, evoluti e progrediti, i quali non esitano a chiedere al figlio di sette anni se è contento di essere maschio, o se non preferirebbe essere una femminuccia; e che non esitano ad incoraggiarlo in un eventuale cambio di sesso, sostenendolo moralmente e affrontando spese enormi per le cure ormonali e gli interventi chirurgici, pur di vederlo “realizzato”, pur di vederlo “felice”, pur di vederlo “se stesso”!
Ora, ciò che è innegabile, perché tutti possono vederlo e constatarlo, è che la società va male a causa dell’egoismo sempre più diffuso: ci sono gli adulterî, perché si desidera la moglie o il marito di qualcun altro; i furti e le rapine, perché ci si vuole impossessare dei beni altrui; le maldicenze e le calunnie, perché si cuoce nell’invidia e nel rancore; le violenze e gli omicidi, perché non si sanno tenere a freno l’ira e le gelosia; la corruzione e la disonestà, perché si vuol vivere al di sopra dei propri mezzi, si vuole disporre di denaro senza fatica; e così via. Perciò, anche da un punto di vista perfettamente “laico”, alla domanda se sia un bene o un male il fatto che un giovane o una giovane scelgano la via di Bartolomea Capitanio, cioè di rinunciare ai loro desideri e alle loro aspirazioni per farsi tutto a tutti, prendendo a modello di vita niente meno che Gesù Cristo, la risposta, se si vuol essere onesti, non può che essere: un bene. Freud o non Freud, complessi di colpa o non complessi di colpa (o di Edipo, o di Elettra, o di quel diavolo che si preferisce). E se ci si domanda se sia “giusto” che una ragazza, intelligente e graziosa, nel fior degli anni, faccia voto a Dio della propria verginità perpetua, la risposta, ancora una volta, e pur limitandosi a una prospettiva puramente laica, non può che sfociare in un’altra domanda: la società ha bisogno di persone come lei? Oppure ha bisogno di giovani vuoti, egoisti, che pensano solo a se stessi, che gettano la loro verginità a dodici anni e che a quindici hanno già avuto decine di rapporti, e magari hanno provato anche la droga, e la menzogna, e il furto, e il bere smodato, fino ai limiti dell’alcolismo? L’albero si riconosce dai frutti. Se le scelte di vita di una ragazza come Bartolomea Capitanio sono inumane, frustranti, autolesionistiche, patologiche, come mai producono frutti così buoni nella società? Come mai le persone che incontrano simili anime provano serenità, benessere, si sentono accolte, si sentono ascoltate, si sentono aiutate? E, viceversa, se lo stile di vita edonista è perfettamente logico e giusto, se è perfettamente naturale e, inoltre, se è un diritto acquisito, come mai esso produce giovani sempre più alienati, infelici, confusi, smarriti, e, tutto intorno a loro,  famiglie, amici e conoscenti sempre più angustiati dai loro comportamenti, sempre più sofferenti e disperati?

Perché la Chiesa non esorta più a essere santi?

di Francesco Lamendola

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