Oblatus est, quia ipse voluit, et non aperuit os suum – E’ stato sacrificato, perché ha voluto
Che cosa c’è, al cuore del Vangelo? Che cosa c’è che dà tanto fastidio ai modernisti e ai cattolici progressisti? Qual è il punto che li infastidisce, che li manda in furore, e contro il quale stanno dirigendo tutti i loro sforzi, al fine di rimuoverlo? Al centro del Vangelo c’è il sacrificio di Cristo, la sua offerta di Sé sulla croce: offerta che si rinnova ogni giorno, incessantemente, ogni volta che un sacerdote celebra la santa Messa e che un credente si accosta alla Comunione. Se si toglie quello, si toglie la base di tutto il resto: e il cristianesimo rimane come una delle tante dottrine di questo mondo, come una delle religioni, filosofie e ideologie che hanno preteso di cambiare il mondo, ma con gli strumenti del mondo. Solo nel cristianesimo c’è la nozione dell’amore di Dio che si spinge fino al limite estremo: quello di farsi uomo, di soffrire e di morire per mano degli uomini stessi, per riscattare i loro peccati e per rendere possibile il loro ritorno fra le braccia del Padre. Qualche altra religione, come l’induismo, si spinge fino all’idea di una discesa di Dio sulla terra (ma non di una vera incarnazione; non, cioè, dell’assunzione, accanto alla propria natura divina, della vera natura umana, con tutti i suoi limiti): ma nessuna giunge all’idea del sacrificio totale di Dio per amore degli uomini. Ebbene, è proprio questo che fa problema, è proprio questo che dà noia ai modernisti e ai cattolici progressisti: il sacrificio di Cristo, il fatto di essere debitori della propria salvezza a quel sacrificio. Primo, essi non vogliono riconoscersi così incapaci di trovare la via del bene, da aver bisogno che Dio stesso venga a farsi uno di loro; secondo, non vogliono sentirsi in debito con Dio per il sacrificio di Sé sulla croce, perché non amano esser debitori nei confronti di alcuno; terzo, non vogliono trarre la logica conseguenza di tutto ciò: ossia che la sola via verso la redenzione passa attraverso la croce, per tutti, ora e sempre.
Tutto questo, a quei signori, appare fastidiosamente limitante, quasi una umiliazione permanente; gonfi di superbia e di orgoglio luciferino, vogliono, vorrebbero, salvarsi da soli, al massimo con un dio che dice loro quel che si deve fare, dopo di che ritengono di poter proseguire da soli, con le loro forze. È per questo che vorrebbero ridurre il cristianesimo a una sorta di dottrina morale; il dio che sono disposti ad accettare, a riconoscere, è un dio che si comporta come un uomo e solo come un uomo: un maestro spirituale, un saggio, un profeta, insomma, uno che si mette al loro livello affinché essi, poi, facciano da soli. Anche tutte le chiacchiere della teologia negativa – che è, guarda caso, di origine protestante -, il rifiuto del “dio tappabuchi”, la decisione di fare “come se Dio non ci fosse” (etsi deus non daretur), hanno questa radice: ed è ben miope chi non vede in quel tipo di teologia, non già un progresso e un cristianesimo “adulto” e “maturo”, come tanto spesso si sente dire e si legge, ma una vera e propria degenerazione, una involuzione, una auto-distruzione: perché il cristianesimo, a quel punto, sarebbe l’equivalente del platonismo, o del buddismo, o della teosofia, o dell’antroposofia; una dottrina di salvezza fra le tante, nella quale il ruolo attivo è affidato all’uomo, è l’uomo che deve svolgerlo. E dio, se c’è, serve solo come guida, anzi, come vigile stradale: disciplina il traffico, fa dare la precedenza, ma poi ciascuno deve sbrigarsela da solo, beninteso dopo aver consultato la cartina stradale, o, come oggi si fa, con maggiore comodità, dopo aver inserito il navigatore o il pilota automatico.